La nostra parte

Le associazioni ambientaliste di Torino con il proprio patrimonio di lotte e la propria visione complessiva di un altro modello di sviluppo mettono a disposizione dei movimenti una presenza informata in questi anni soprattutto su tre temi: acqua, rifiuti e trasformazioni urbane.
 
Oltre a ciò a settembre 2014 si è ri costituito dopo alcuni anni il Coordinamento dei Comitati e delle Associazioni ambientaliste per la tutela e la progettazione del verde di Torino che riunisce le associazioni ed i comitati.
 
La transizione verso la sostenibilità degli stili di vita sta entrando nella cultura generale: ne sono un segno i cosiddetti negozi leggeri (senza imballaggi), i prodotti biologici e locali non solo in negozi dedicati, i ristoranti a km0 ed i GAS, alcuni dei quali collegati alle ‘case del quartiere’ http://www. .
 
Due ‘contenitori’, due operatori di senso si sono proposti in questi anni a chi in vario modo e con diversa articolazione di motivazioni metteva in atto comportamenti e chiedeva politiche sostenibili: la ‘decrescita’ e il ’benicomunismo’.
 
Decrescita è un termine (spesso associato a ‘conviviale’ o ‘felice’ ) introdotto in Italia dalla Francia qualche anno fa, che evoca espressioni di ‘austerity’.
 
Decrescita è un termine (spesso associato a ‘conviviale’ o ‘felice’ ) introdotto in Italia dalla Francia qualche anno fa, che evoca espressioni di pauperismo ascetico di impianto religioso, o di ‘austerity’.
Assume infatti la bontà dell’animo umano da cui discende  una serie di preferenze individuali volontariamente collaborative e cooperative che concorrono responsabilmente al bene comune.  Essa sostiene che ‘l’altruismo prevale sull’egoismo, il piacere del tempo libero sull’ossessione del lavoro’ e quindi che sia possibile uno sradicamento del capitalismo dal basso e dal singolo per moltiplicazione di ‘zone liberate dal male’. Un’economia su scala locale basata sulla redistribuzione della ricchezza, sulla riduzione del consumo di risorse, sul riutilizzo ed il riciclo come sentiero per la felicità.
 
La proposta, desiderabile,  ha la debolezza del volontarismo che sottovaluta -eludendola- l’attrazione magnetica (nel Nord ma anche nel Sud) esercitata dal nostro modo di vivere (insostenibile sul piano sociale ed ambientale).
Per dare alla decrescita la dimensione sistemica auspicata dai suoi promotori, così come una connotazione di giustizia  socio ambientale (evitando il rischio della ‘zattera dei puri, salvati’),  potrebbe essere utile ampliarne la comune accezione domandandosi cosa vogliamo e da parte di chi decresca, da parte di chi e cosa invece desideriamo che cresca per la collettività. La decrescita come compressione dei consumi alle condizioni date, anche modificando i sentimenti delle persone, produrrebbe, infatti, solo povertà, deflazione e recessione. La soluzione non sta nel negare la crescita delle forze produttive, come prescrive in definitiva la teoria della decrescita, ma nel regolare la produzione complessiva in base ai bisogni e non in base alle esigenze di profitto, l’attuale motore dell’economia.
 
Critiche a questa corrente di pensiero, ben nota dai libri di Serge Latouche, sono state espresse in diversi articoli non solo il Italia e da posizioni anche distanti tra loro quali possono essere Luca Simonetti, Contro la decrescita, Longanesi 2014 o Bellamy Forster sul Monthly Review nel 2011.  Nello stesso anno Antonella Visintin ha scritto un Dossier critico sul tema.
 
I ‘beni comuni’ sono entrati nel lessico dei movimenti più recentemente per esprimere opposizione alla riduzione dei rapporti economici e sociali a una pura logica mercantile. Una logica che ha via via permeato anche la dimensione pubblica.  Dall’acqua si è passati a tutte le risorse naturali, fino alla cultura ed alle forme della rappresentanza.
Ma quale patto sociale prefigura questo desiderio? Quali forme di partecipazione ha saputo sperimentare?
Vi è chi in suo nome propone di fatto una privatizzazione ‘buona’  perché ‘dal basso’ in forma di fondazioni e affidamenti e chi invece  della proprietà privata propone una regolazione pubblica. Inoltre, chi sono comuni i beni comuni, a tutti o a delle comunità che escludono il resto degli umani? Che cosa sono i beni comuni di preciso, si possono classificare o no?
 
A favore di questa corrente c’è per tutti i libro di Ugo Mattei, Il benicomunismo e i suoi nemici, Einaudi 2015. Su posizioni critiche Paolo Maddalena, Il territorio bene comune degli italiani, Donzelli 2014 ed Ermanno Vitale, Contro i beni comuni, Laterza 2013.