Che fare?

Quanto fin qui descritto porterebbe a concludere che il modello di sviluppo vigente è a fine corsa per il lavoro, la salute, l’ambiente e la giustizia climatica.
 
Purtroppo secondo le regole attuali non ci saranno investimenti in ricerca e applicazione produttiva né vera conversione energetica fino a che i capitali trovano vantaggiosa collocazione in attività distruttive le cui lobby rimangono egemoni.
La spesa pubblica viene sottratta alla collettività e usata attivamente contro i cittadini. I contribuenti finanziano la propria distruzione.
 
Il Governo infatti, scommette sulle grandi opere inutili, sulla cementificazione, l'asfalto, gli inceneritori, le trivellazioni, e reitera la logica dei commissariamenti, delle deroghe ai vincoli urbanistici e ambientali, che tanti danni ha arrecato al territorio.
 
Noi riteniamo invece che occorra tornare a porsi domande semplici quali cosa, come e perché produrre e quindi consumare. Occorre dare un altro senso e un’altra prospettiva al lavoro, l’intervento umano per la soddisfazione delle proprie necessità materiali che non può continuare ad essere segnato dal dominio ma deve comprendere la custodia e la salvaguardia, cioè  l’attenzione a non compromettere la riproduzione delle condizioni vitali delle risorse e delle altre specie viventi, al servizio di un modello produttivo sostenibile.
 
Occorre chiudere i cicli produttivi verso l’azzeramento dei rifiuti, attuare una conversione decisa verso le energie rinnovabili, aumentare i tempi di vita delle merci abolendo l’obsolescenza programmata, immaginare il più possibile consumi di beni basati sull’accesso e non sulla proprietà, il più possibile collettivi e non individuali.